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Music, Maestro!
Nel corso della sua lunga carriera Piero Umiliani ha collaborato con celebri musicisti della scena jazz internazionale. Questa pagina raccoglie alcune brevi memorie scritte dal maestro Umiliani negli Anni '90, in occasione delle ristampe discografiche di quelle preziose collaborazioni.
OSCAR PETERSON
"Chanel" è un brano che scrissi quando avevo ventiquattro anni.
Le prime incisioni di questo pezzo erano su dischi a 78 giri con l' Orchestra di Franco Chiari e Toni De Vita. Era un pezzo al quale ero molto affezionato e, nel 1956, quando decisi di spedire alcuni miei spartiti alle case discografiche in giro per il mondo, "Chanel" faceva sempre parte di quel repertorio che speravo fosse di interesse per qualche casa discografica internazionale.
Tra i tanti indirizzi avevo inserito anche quello della Marks Music di New York, nei cui uffici ogni tanto si recava Oscar Peterson, jazzista straordinario e uno dei miei preferiti.
Per caso o per destino il mio spartito finì tra le mani di Peterson che appena orecchiate le note di "Chanel" disse al manager della Marks Music: "Voglio questo brano per il mio prossimo album". Venni contattato da quelle edizioni americane e fu così che nel 1957 Chanel finì nell'album "Soft Sands" per l'etichetta di jazz Verve e pubblicato anche in un extended play a 45 giri.
Insieme a Peterson c'era l'Orchestra di Bunny Bergman con i solisti Herb Ellis alla chitarra, Ray Brown al basso e Stan Levey alla batteria.
Ma la cosa più bella avvenne qualche anno dopo quando io e mia moglie Stefania andammo al Teatro Sistina di Roma dove Oscar Peterson teneva uno dei concerti del suo tour italiano. A un certo punto Peterson intona le note di Chanel e l'emozione fu fortissima.
A fine esibizione andai verso i camerini, facendomi strada tra i tanti appassionati. Come ogni star che si rispetti anche Peterson aveva delle guardie del corpo che impedivano a chicchessia di avvicinarsi a lui. Il mio inglese era, per così dire, molto approssimato ma fortunatamente con noi c'era anche un mio amico con la moglie americana la quale spiegò ai due chi ero io.
Finalmente ebbi via libera e, tra gesti e qualche frase stentata in inglese gli dissi che "quello di Chanel sono io".
Lui mi ringraziò e mi firmò una dedica sullo spartito, ma in realtà ero io che dovevo ringraziarlo per sempre.
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CHET BAKER
Sono trascorsi 28 anni da quando conobbi Chet Baker, e sei dall’ultima volta che l’ho visto. Era un uomo triste e drammatico, la sua unica gioia era suonare. La prima volta che lo incontrai era estremamente dolce e parlava solo Inglese ma in seguito, dopo aver trascorso un periodo in prigione a Volterra, cominciò a parlare Italiano. Durante il nostro ultimo incontro mi trovai di fronte un sereno vecchietto. Non appena mi vide mi salutò dicendo:” Caro Maestro.” Io scoppiai a ridere e risposi: “Se io sono un Maestro, allora tu chi sei? Hai fatto molto più di quanto ho fatto io!” Sono davvero felice di poter unire il mio nome al suo. Io gli offrivo tre note e lui le trasformava in una cosa straordinaria. L’idea era mia ma la creatività era sua. L'anno scorso quando ho saputo della scomparsa di Chet, ho pensato ai due film che avevo fatto con lui. Credo che a lui piacesse la mia musica, altrimenti me lo avrebbe detto: con me non faceva davvero i complimenti. L’idea di fare un CD con la musiche dei nostri "film italiani" mi è venuta l’anno successivo: avevo appena visto un bel film sulla vita di Chet, “Let’s Get Lost”. Bruce Weber, il regista, aveva usato un breve estratto dal film “Urlatori alla sbarra” di Lucio Fulci, nel quale c’erano Mina, Adriano Cementano e Chet sia come attore che musicista.
Avevo scritto la colonna sonora di quel film nel 1957. Vicino al teatro di posa c’era una sala di registrazione. Mentre stavo registrando, Chet passò con la sua tromba. Aveva appena finito una scena. Stavamo suonando “Improvvisando in Blues” e i solisti erano impegnati nell'improvvisazione. Anche Chet cominciò a suonare. Dopo che “Improvvisando in Blues “ fu terminato, suonò anche in “Furtivamente”.
Riguardare quella scena e riascoltare quella musica, dopo 32 anni, mi commosse profondamente, perché quello era stato il nostro primo incontro. Poi ebbi un’altra occasione di suonare con Chet, per la colonna sonora de “L'Audace Colpo de I Soliti Ignoti”. Eravamo a Cinecittà e stavo provando con un ottetto, aspettando che Chet arrivasse. Il produttore del film, per assicurarsi che Chet arrivasse in orario per la registrazione, aveva mandato un’autista a prenderlo. Chet salì in auto e chiese all’autista di portarlo alla Stazione Termini, dove doveva fermarsi per pochi minuti. Scese dalla macchina e sparì. Aveva preso il primo treno per la Germania.
Dato che non avevamo più notizie di Chet, il produttore insistette per trovare un altro solista, ma io mi rifiutai. Speravo che Chet sarebbe tornato, prima o poi. Ed avevo ragione, tre giorni dopo Chet mi venne a cercare. Quasi non mi riconosceva, camminava con gli occhi chiusi ed io avevo paura pensando come avrebbe fatto a suonare in quelle condizioni. Ci dissero che se n’era andato a Monaco a cercare la droga. Quando arrivò in studio non aveva con sé neanche la tromba, l’aveva dimenticata da qualche parte. Però aveva con sè la sua ancia, che gli era rimasta in una tasca: prese in prestito una tromba da un altro musicista, e iniziammo a provare. Suonò in modo eccellente. Lui ascoltò “Alone in a Crowd” e la registrammo immediatamente. Suonò l’intera melodia del primo ritornello e improvvisò nel secondo. Naturalmente, nelle mie composizioni lasciavo molto spazio alle improvvisazioni. L’interpretazione di Chet di “Tension” fu veloce e pulita in entrambe le registrazioni che più tardi ho riunito. Durante la sua esecuzione suonò una parte che all’inizio sembrò errata, ma su quella ci costruì un riff ed è così che era nata un’idea! I cinque temi del film furono eseguiti in meno di tre ore. Chet non leggeva la musica, ma ascoltava gli archi. In “Smog” suonò con 5 trombe, 4 tromboni, 5 sax, vibrafoni, chitarra, contrabbasso e batteria, oltre a 12 violini, 3 viole e 2 violoncelli. Credo che non abbia mai più suonato con un simile accompagnamento. Ricordo che si divertì a suonare circondato da 40 musicisti mentre il film veniva proiettato sullo schermo. Anche quella volta gli bastò ascoltare il tema solo una volta e poi, naturalmente, suonò in maniera meravigliosa ii 6 minuti di “Twilight in Los Angeles”.
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HELEN MERRILL
Cosa potrò mai aggiungere riguardo a Helen Merrill?
Credo che di lei sappiamo già tutto. La sua voce sensuale è piena di stile. Helen, swingando con tanta sensibilità, sa scegliere le canzoni più giuste e i migliori jazz-men del mondo.
Scoprii il suo primo disco in un negozietto di Firenze, nel lontano 1954. Era stato realizzato a New York City. dove lei abita e svolge la sua attività artistica. I musicisti che l'accompagnavano, solo per fare qualche nome, erano Clifford Brown, Oscar Pettiford, Jimmy Jones e Quincy Jones era l'arrangiatore. Mi colpì particolarmente la canzone ''What's New?'' e credo di averla sentita mille volte, giorno e notte. La conobbi personalmente nel 1962, negli studi della RCA. Era appena arrivata da New York e al solo pensiero che quel giorno l'avrei conosciuta ero emozionatissimo. Mi ricordavo ancora la sua fotografia sulla copertina di quel vecchio disco dove sembrava un tipo intrigante, molto sexy. Invece appena la vidi non potei fare altro che rimanere conquistato dalla sua semplicità. Ricordo che le dissi:"Sei arrivata adesso hai già prenotato l'albergo?" Allora aggiunsi che eravamo sotto Natale e che non sarebbe stato facile trovare una sistemazione e la invitai comunaue a venire da me a provare, avevo lo studio nel mio appartamento e potevamo lavorare senza problemi di orario, in tranquillità.
Dovevamo infatti iniziare una trasmissione insieme. Avevo creato un programma televisivo sul jazz, intitolato Moderato Swing. Andava in onda una volta alla settimana, la sera intorno alle 22.00. Helen doveva cantare una canzone in ogni puntata. Con la Big Band della RAI, presentavo i personaggi più importanti del jazz: Duke Ellington, Count Basie, Woody Herman, Benny Goodman... Fu un grande successo e così iniziò la nostra collaborazione. Oltre dodici canzoni che sceglievamo insieme per presentarle in televisione. Lei scrisse le parole di tre miei brani che avevo composto per il cinema: "My Only Man", "Dreaming of The Past" e "Dawn". Quando la conobbi non parlava affatto italiano ma poi, dopo pochi mesi, cantò nella nostra lingua "Estate" e credo sia una delle più belle interpretazioni che io abbia mai sentito.
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GATO BARBIERI
Incontrai Gato la prima volta nel 1965, era appena arrivato a Roma. Lui già suonava benissimo ma non lo conosceva nessuno. Iniziò a lavorare molto presto, ma solo come musicista negli studi della Rai. Non ricordo esattamente quando ci incontrammo, so che dovevo registrare due colonne sonore e avevo bisogno di bravi musicisti in fretta e quindi lo ingaggiai. Gato aveva un aspetto gradevole, era calmo e gentile. A quell'epoca era facile scambiarlo per un impiegato, con i capelli corti perfettamente tagliati e sempre vestito con eleganza, senza quel cappello nero che tutti oggi conosciamo come caratteristica del suo look. Qualche anno dopo, ebbe la sua grande chance: fu chiamato a comporre la colonna sonora per "Ultimo Tango a Parigi" di Bertolucci. In quell'occasione mi telefonò, chiedendomi se potevo curargli gli arrangiamenti, poi al momento di iniziare a lavorare non ebbi più notizie. In seguito seppi che, senza sorprendermi più di tanto, che gli arrangiamenti li avrebbe curati nientemeno che Oliver Nelson!
Il grande successo di "Ultimo Tango a Parigi", a mio parere, non è derivato da Gato come compositore ma da Gato come sassofonista. Nonostante qualche altra possibile occasione non lavorammo più insieme perché oramai anche io ero impegnatissimo con il mio lavoro. Sui due film che abbiamo fatto insieme non c'è molto da dire. La musica per "Una Bella Grinta" è stata realizzata con un quintetto, ed è una delle più jazz della mia carriera. C'è un aneddoto invece che riguarda "Svezia, Inferno e Paradiso", l'altra mia colonna sonora nella quale ha suonato Gato. Nel finale i violini dovevano essere aggiunti elettronicamente, cosa inusuale all'epoca dato che eravamo alla fine degli Anni 60. Avevo costruito una specie di strumento, un registratore Ampex a 16 piste dotato di tastiera. Suonando la tastiera i violini erano registrati su ogni canale. Gato mi chiese di cos'era e io non sapendo dare un nome al marchingegno lo chiamai "Sarchiapone" una parola nonsense entrata nella storia grazie a una gag comica di quegli anni. In questa soundtrack c'è anche la canzone, "Sleep Now, Little One" cantata da Lydia McDonald che Gato ha reinterpretato in versione strumentale, dandogli una impronta diversa al punto che cambiammo anche il titolo in "Solitudine".